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HO VISSUTO IN 9 PAESI NEL MONDO E DAL 1991 RISIEDO IN BRASILE, MIO PAESE D’ELEZIONE. IL BRASILE É PER VIVERE MEGLIO E PIÙ FELICI ED INCONTRARE REALI PRIORITA'. È PER SMETTERE DI LAVORARE PENSANDO COSTANTEMENTE A QUEI 20 GIORNI DI VACANZA ALL’ANNO INVECE DI VIVERE E LAVORARE IN UN LUOGO CHE CI SODDISFA TANTO DA NON AVER BISOGNO D’ANDARE IN VACANZA. IN ITALIA LE PERSONE VIVONO MALE E NON SONO FELICI, ALL’OPPOSTO I BRASILIANI SONO RISULTATI IN ASSOLUTO LA POPOLAZIONE CON PIÙ SODDISFAZIONE/FELICITÂ/SPERANZA NEL FUTURO. RACCONTO ESPERIENZE E COSA SUCCEDE DA QUESTE PARTI. MAGARI DECIDETE DI VENIRCI A VIVERE PURE VOI.

mercoledì 6 febbraio 2013

L'ESPERIENZA DI STABILIRSI IN BRASILE A CURITIBA

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Oni tanto vi propongo brevi racconti di mie esperienze col Brasile. 
Sono stralci del mio libro che sará prossimamente in libreria pubblicato da Giraldi Editore.
In questo caso racconto di Curitiba, una città del Paranà in Brasile dove ho vissuto per circa 5 anni, non per mia scelta, ma un po per decisione obbligata, come leggerete, non amavo quella città e avrei voluto stabilirmi a Rio de Janeiro, ma comunque ero in Brasile! Non che fosse una brutta città, anzi, erano i suoi abitanti, con una caratteristica e particolare cultura non riscontrabile in altre città brasiliane, che non erano da me amati.
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Mia moglie ed io arrivammo in pianta stabile a Curitiba come ripiego provenienti da Rio de Janeiro dove non eravamo riusciti a stabilirci, dopo esserci trasferiti in Brasile.
Il fatto che li vivessero i miei suoceri per tanti aspetti pratici facilitava le cose.
Ma Curitiba non mi piaceva molto.
E' una città pulita ed ordinata ma i suoi abitanti non sono simpatici, sono chiusi, diffidenti, provinciali, tradizionalisti e rigidi, con la puzza sotto il naso, scontrosi si credono fintamente chissà che, moralisti e benpensanti giudicano male ciò che non sanno capire. Accarezzano e viziano il proprio orgoglio nutrendolo d’ignoranza e nascondendo nel profondo di se stessi i sensi di una inferiorità mai ammessa.
Sono in gran parte discendenti d’immigrati europei, dalla Polonia, Ucraina, Ungheria, Italia, Germania, chissà dove hanno raccattato tutta quella porcheria di ristretta mentalità, “Nessuno siamo perfetti ciascuno ci abbiamo i suoi difetti” ma loro esagerano, accidenti.
Ma niente lamenti, diavolo, iniziavamo a vivere in Brasile, abitare in Brasile dovunque sia è un privilegio.
Ci stabilimmo provvisoriamente nella casa dei genitori di Josi e ricominciammo la ricerca, abbandonata a Rio, di una casa con giardino in affitto e di un punto per aprire la nostra attività commerciale in Brasile, il nostro ristorante.
L’investire in Brasile era una necessità (mi ero licenziato dal mio lavoro di funzionario d’Organismi Internazionali) ma non certo la priorità: la cosa veramente importante era poterci vivere, mica farci dei soldi.
Dopo molte analisi identificammo il quartiere dove aprire il locale e lì trovammo una vecchia casa da riformare ma molto ben localizzata in uno degli incroci migliori della città. 
Fu una dura e difficile contrattazione col padrone di casa, uno stronzo d'avvocato (tutto curitibano d’un pezzo), alla fine riuscimmo a chiudere l'affare, affitto esagerato riaggiustato secondo il cambio col dollaro più una buona uscita al locatario attuale, amico suo.
Iniziai la ristrutturazione dopo aver contrattato un bravissimo capomastro, caro ma valeva ciò che costava e che ci portò sette suoi muratori per realizzare i miei piani architettonici, fantastici ma purtroppo fuori logica commerciale.
Furono 9 mesi di lavori con anche due elettricisti e due pittori, 12 persone in tutto lavorando ogni giorno per più di ¾ d’anno, ero pazzo, artista ma stupido perché non me lo potevo permettere, non mi fermavo più.
Inventavo cose fantastiche che sarebbero nel futuro entrate in reportage anche televisivi sulla moderna architettura brasiliana. Bello, e tutto ciò in casa altrui, ma io ero un artista...
Costruii un grande terrazzo, un'entrata con un tetto di piramide di cristallo che si apriva sul cosmo sotto al quale si camminava su d'un pavimento d'acqua anche senza l’aiuto di mistiche influenze, i meravigliosi intonaci di mia invenzione mostravano, uguali alle nubi, ciò che volevi vedere. Creai l'illuminazione anche se non era il terzo o qual giorno fosse, materializzai il sogno del grandissimo banco bar che si illuminava dal basso con colonne compatte di luci colorate quando vi si appoggiavano i bicchieri di cristallo, realizzai la grande cattedrale di luce splendente di cascate di brillanti, provocai le verdi ferite luminose nei muri. C’erano le enormi pareti di vetro con cangianti giochi di riflessi che stimolavano la mente, tavoli e sedie modernissime da me disegnati per accogliere spiriti liberi e curiosi di nuovi ed antichi raffinati sapori, c’erano gli enormi coloratissimi quadri di Walasse Ting alle pareti  che ti trasportavano in mondi di fiabe e di magie, i futuristici appendiabiti che al tuo volere riscaldavano i soprabiti durante l'inverno, il grande camino, l'enorme cucina...
 




 Non vi racconto di più, fu la realizzazione d'una esplosione creativa bellissima ma rovinosa commercialmente.
Venivano architetti da São Paulo per copiare le mie realizzazioni anche nei minimi dettagli: le tovaglie, piccoli ma particolarissimi segni di decorazione, sofisticate soluzioni estetiche, le appliques, l'avveniristico mobile porta liquori...
Con i soldi che spesi avrei potuto godermela alla grande a Rio de Janeiro per dieci anni senza lavorare.
Le 12 persone che lavorarono nella realizzazione per quasi un anno avrebbero potuto costruire un'intero edificio di molti piani partendo da zero. Io avevo semplicemente ristrutturato un ristorante.
Non so cosa mi prende ogni tanto... sindrome da Faraone egiziano? 
Ma venne finalmente il giorno dell'inaugurazione ed io quasi quasi lo posticipo perché all'ultimo momento mi erano venute certe idee da realizzare... forse era paura del debutto.
Arrivarono centinaia di persone, reporter e fotografi di giornali e televisioni, diplomatici miei ex colleghi, politici, il Governatore, il Sindaco, personaggi della moda...


La polizia dovette chiudere la via tante erano le persone dentro e fuori il locale.
Fantastico, io e mia moglie elegantissimi, il personale che funzionava a dovere, gente brilla e felice, per molti giorni ne parlarono i giornali con articoli d'intere pagine, sembrò una festa tropicale degli Oscar.
In quella serata conobbi João Espirito Santo. Era un rampollo della più importante famiglia dell’alta borghesia portoghese, proprietari dell’omonimo banco privato prima delle statalizzazioni dovute alla rivoluzione dei garofani.
Il nostro Banco di Santo Spirito in Italia era una sua piccola dipendenza.
João aveva definitivamente lasciato il Portogallo, la famiglia e le sue attività, era venuto a vivere in Brasile, a Curitiba.
Insieme col suo compagno Victor formavano la coppia che aveva avuto il maggior successo come titolari della miglior casa per la bellezza delle donne curitibane.
João come stilista di grande talento dirigeva la sartoria d’alta moda che creava autentiche opere d’arte, Victor dirigeva il salone di coiffeur più importante della città.
Ma le due personalità erano molto differenti: João era estremamente selettivo nei rapporti, aristocratico, assolutamente niente democratico, guardava il mondo ed i suoi abitanti con un cannochialino da teatro mentre rimaneva seduto su di un altissimo trono.
Victor era più concreto, quasi rozzo, accessibile ed aperto, più realizzativo, meno sognatore e con i piedi per terra. Veniva da una famiglia di possidenti terrieri cha avevano dovuto abbandonare l’Angola con la rivoluzione.
Erano appoggiati al balcone bar bevendo qualcosa, due parole e capimmo che saremmo diventati amici, specialmente con João.
L’inaugurazione continuò sino all’alba.
Ma allora non mi immaginavo i problemi ai quali sarei andato incontro…

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