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Oni tanto vi propongo brevi racconti di mie esperienze col Brasile.
Sono stralci del mio libro che sará prossimamente in libreria pubblicato da Giraldi Editore.
In questo caso racconto di Curitiba, una città del Paranà in Brasile dove ho vissuto per circa 5 anni, non per mia scelta, ma un po per decisione obbligata, come leggerete, non amavo quella città e avrei voluto stabilirmi a Rio de Janeiro, ma comunque ero in Brasile! Non che fosse una brutta città, anzi, erano i suoi abitanti, con una caratteristica e particolare cultura non riscontrabile in altre città brasiliane, che non erano da me amati.
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Mia
moglie ed io arrivammo in pianta stabile a Curitiba come ripiego
provenienti da Rio de Janeiro dove non eravamo riusciti a stabilirci,
dopo esserci trasferiti in Brasile.
Il
fatto che li vivessero i miei suoceri per tanti aspetti pratici
facilitava le cose.
Ma
Curitiba non mi piaceva molto.
E'
una città pulita ed ordinata ma i suoi abitanti non sono simpatici,
sono chiusi, diffidenti, provinciali, tradizionalisti e rigidi, con
la puzza sotto il naso, scontrosi si credono fintamente chissà che,
moralisti e benpensanti giudicano male ciò che non sanno capire.
Accarezzano e viziano il proprio orgoglio nutrendolo d’ignoranza e
nascondendo nel profondo di se stessi i sensi di una inferiorità mai
ammessa.
Sono
in gran parte discendenti d’immigrati europei, dalla Polonia,
Ucraina, Ungheria, Italia, Germania, chissà dove hanno raccattato
tutta quella porcheria di ristretta mentalità, “Nessuno siamo
perfetti ciascuno ci abbiamo i suoi difetti” ma loro esagerano,
accidenti.
Ma
niente lamenti, diavolo, iniziavamo a vivere in Brasile, abitare in
Brasile dovunque sia è un privilegio.
Ci
stabilimmo provvisoriamente nella casa dei genitori di Josi e
ricominciammo la ricerca, abbandonata a Rio, di una casa con giardino
in affitto e di un punto per aprire la nostra attività commerciale
in Brasile, il nostro ristorante.
L’investire
in Brasile era una necessità (mi ero licenziato dal mio lavoro di
funzionario d’Organismi Internazionali) ma non certo la priorità:
la cosa veramente importante era poterci vivere, mica farci dei
soldi.
Dopo
molte analisi identificammo il quartiere dove aprire il locale e lì
trovammo una vecchia casa da riformare ma molto ben localizzata in
uno degli incroci migliori della città.
Fu
una dura e difficile contrattazione col padrone di casa, uno stronzo
d'avvocato (tutto curitibano d’un pezzo), alla fine riuscimmo a
chiudere l'affare, affitto esagerato riaggiustato secondo il cambio
col dollaro più una buona uscita al locatario attuale, amico suo.
Iniziai
la ristrutturazione dopo aver contrattato un bravissimo capomastro,
caro ma valeva ciò che costava e che ci portò sette suoi muratori
per realizzare i miei piani architettonici, fantastici ma purtroppo
fuori logica commerciale.
Furono
9 mesi di lavori con anche due elettricisti e due pittori, 12 persone
in tutto lavorando ogni giorno per più di ¾ d’anno, ero pazzo,
artista ma stupido perché non me lo potevo permettere, non mi
fermavo più.
Inventavo
cose fantastiche che sarebbero nel futuro entrate in reportage anche
televisivi sulla moderna architettura brasiliana. Bello, e tutto ciò
in casa altrui, ma io ero un artista...
Costruii
un grande terrazzo, un'entrata con un tetto di piramide di cristallo
che si apriva sul cosmo sotto al quale si camminava su d'un pavimento
d'acqua anche senza l’aiuto di mistiche influenze, i meravigliosi
intonaci di mia invenzione mostravano, uguali alle nubi, ciò che
volevi vedere. Creai l'illuminazione anche se non era il terzo o qual
giorno fosse, materializzai il sogno del grandissimo banco bar che si
illuminava dal basso con colonne compatte di luci colorate quando vi
si appoggiavano i bicchieri di cristallo, realizzai la grande
cattedrale di luce splendente di cascate di brillanti, provocai le
verdi ferite luminose nei muri. C’erano le enormi pareti di vetro
con cangianti giochi di riflessi che stimolavano la mente, tavoli e
sedie modernissime da me disegnati per accogliere spiriti liberi e
curiosi di nuovi ed antichi raffinati sapori, c’erano gli enormi
coloratissimi quadri di Walasse Ting alle pareti che ti trasportavano in mondi di fiabe e di
magie, i futuristici appendiabiti che al tuo volere riscaldavano i
soprabiti durante l'inverno, il grande camino, l'enorme cucina...
Non
vi racconto di più, fu la realizzazione d'una esplosione creativa
bellissima ma rovinosa commercialmente.
Venivano
architetti da São Paulo per copiare le mie realizzazioni anche nei
minimi dettagli: le tovaglie, piccoli ma particolarissimi segni di
decorazione, sofisticate soluzioni estetiche, le appliques,
l'avveniristico mobile porta liquori...
Con
i soldi che spesi avrei potuto godermela alla grande a Rio de Janeiro
per dieci anni senza lavorare.
Le
12 persone che lavorarono nella realizzazione per quasi un anno
avrebbero potuto costruire un'intero edificio di molti piani partendo
da zero. Io avevo semplicemente ristrutturato un ristorante.
Non
so cosa mi prende ogni tanto... sindrome da Faraone egiziano?
Ma
venne finalmente il giorno dell'inaugurazione ed io quasi quasi lo
posticipo perché all'ultimo momento mi erano venute certe idee da
realizzare... forse era paura del debutto.
Arrivarono
centinaia di persone, reporter e fotografi di giornali e televisioni,
diplomatici miei ex colleghi, politici, il Governatore, il Sindaco,
personaggi della moda...